I ruggenti anni 70/80

Posts written by xericos

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    Si è vero, il Giappone però ha copiato perchè innamorato della nostra cultura, non a casa molte vetture hanno nomi italiani, inoltre fnno sacrifici pur di avere vetture italiane, anche se magari devono avere la guida dalla parte sbagliata.
    I cinesi invece fanno copie per vendere e non per ammirazione.
  2. .
    Il progetto della Renault 12 prende piede nel 1963, per sostituire le ormai anziane Renault 8 e 10, in realtà le caratteristiche della vettura, la porranno su un gradino più alto, per allestimento ed abitabilità, permettendogli di competere con vetture come l’Audi 60 e la Simca 1301.
    Il periodo in cui è progettata la nuova vettura, è anche un periodo molto forte per la Francia, per via di violente manifestazioni che sfoceranno, nel 1968, con una grande manifestazione nel quartiere latino, programmato dalla UNEF, che porterà poi ad uno sciopero ad oltranza, che metterà il paese in grande difficoltà economica.
    Comunque il progetto della nuova Renault 12, chiamato 117, prende piede e prosegue, coordinato dall'allora responsabile di progettazione, Yves Georges la vettura riprende in parte l’idea del prototipo Sabot, una vettura caratterizzata da linee spigolose, corpo vettura a due volumi simile a quello di una coupé e basata sulla meccanica della spartana R4.

    Renault 12 accanto al prototipo Sabot
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    Il nuovo progetto però doveva essere adatto ad una famiglia, quindi niente linee spigolose, negli anni ’60 ancora andavano le curve, niente portellone, anche se stava per essere introdotto nella Renault 16, facendo discutere non poco, insomma far scaturire una vettura decisamente normale, almeno per i canoni dell’epoca, dal prototipo non fu facile per l'equipe di designers diretta da Gaston Juchet, già autore della R16.

    Gaston Juchet
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    Gli studi intorno alla nuova vettura avevano come imperativa: Economica, non troppo complicata, un interno spazioso, un bagagliaio capiente, il motore non doveva essere troppo grande ma adatto a spingere bene la vettura, ma soprattutto semplice nella costruzione per poterla fabbricare in tutto il mondo. Ovviamente una vettura prevista per essere costruita in altri stati doveva essere affidabile, abbastanza confortevole e per il mercato interno Francese doveva essere utilizzabile come base per varie varianti.
    Inizialmente un collaboratore di Gaston Juchet, Robert Boyer, nel 1965 eseguì lo schizzo di una vettura caratterizzata da fari asimmetrici, ossia due sul lato destro ed uno sul lato sinistro, tale progetto venne portato avanti fino al 1967, quando ormai le linee della vettura erano definitive, l’idea dei fari asimmetrici non fu mantenuta per l'impossibilità di poterla omologare in tutti i Paesi in cui la commercializzazione e/o produzione della vettura fosse stata prevista.

    Progetto di Robert Boyer
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    Prototipi
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    Prototipo definitivo ma ancora con i fari assimetrici
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    La Renault 12 dal punto vista meccanico era dotata di trazione anteriore, che fu la novità tecnica più evoluta rispetto alle precedenti vetture, Renault 8, Dauphine e 4cv, per il resto si scelsero soluzioni tradizionali: i motori erano delle unità motrici derivate dalla famiglia Cleon, mentre altre soluzioni segnarono , invece, il ritorno a idee ormai superate, come il retrotreno ad assale rigido al posto di quello indipendente, questo per abbattere i costi di produzione del modello e, per renderla, adatta anche in quei mercati in cui le condizioni economiche erano meno favorevoli, il pianale era tutto nuovo e, faceva da base ad una struttura monoscocca. Il motore è posto a sbalzo anteriormente aspetto che avrebbe reso la vettura un po' più sottosterzante in curva rispetto alla concorrenza con motore posizionato all'altezza dell'avantreno.
    Il debutto della Renault 12 avvenne al 56° Salone dell’Automobile di Parigi del 1969, venne utilizzata una intera sezione dove, ben 12 vetture, rosse, fecero da coreografia ad altrettanti ballerine che diedero vita ad uno spettacolo dal vivo per celebrare la nascita della vettura. Scopo dello spettacolo fu anche quello di mostrare le varie tipologie di clientela (dodici, secondo la Casa, da cui la denominazione della vettura) che sarebbero potute essere attratte dalla R12. La stampa fu folgorata da tale presentazione, che diede un grande risalto alla vettura, vettura che per la Renault rivestiva un’importanza strategica, il cui compito sarebbe stato quello di superare il milione di esemplari l'anno.

    Presentazione Renault 12 al 56° Salone dell’Automobile di Parigi del 1969
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    Si dice addirittura che durante la Kermesse parigina, alcune vetture, a scopo promozionale, furono parcheggiate lungo le banchine di attesa della metropolitana.
    Inizialmente la vettura era disponibile in due varianti L e TL, la linea molto classica era particolare, prevedendo nella vista di profilo una forma quasi simmetrica, con un muso e una coda spiovente. Tale soluzione stilistica fu criticata dai detrattori che pronosticarono un fallimento commerciale per la Renault 12, flop che non si ebbe e anzi, portò realmente la vettura a diventare una world car.
    Il muso era tronco, con una grande griglia nera, dove al centro capeggiava il marchio della losanga, secondo lo stile introdotto con la Renault 16, mentre ai lati erano disposti due fari rettangolari ma con i bordi arrotondati. Anche la coda era tronca caratterizzata da piccoli gruppi ottici a sviluppo orizzontale.
    Sempre nella vista laterale possiamo notare il montante posteriore massiccio con integrate tre sottili prese d'aria disposte verticalmente.
    Gli interni erano sobri, e si differenziavano solo per gli allestimenti.
    La versione L, posta alla base del modello, aveva una panca anteriore a schienale fisso in tessuto, un vano portaoggetti illuminato, così come illuminato, era anche il bagagliaio.

    Renault 12 L
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    La versione TL prevedeva gli stessi allestimenti della L, ma i sedili anteriori erano separati con schienale regolabile, i sedili erano in tessuto, ma in quest’allestimento si potevano chiedere come optional i sedili in skai, i vetri erano colorati e i parabrezza stratificati.

    Renault 12 TL

    Un unico motore per i due allestimenti, consistente nel motore Cléon-Fonte da 1289 cc con alimentazione a carburatore monocorpo e potenza massima di 54 CV abbinato ad un cambio manuale a 4 marce.
    Per entrambe le versioni, la capacità del bagagliaio era di 420 litri, la ruota di scorta, come per quasi tutte le Renault era posta esternamente sotto il pianale.

    Fino al 1970, non ci sono grosse innovazioni sulla vettura, se non l’introduzione delle cinture di sicurezza per i posti anteriori e un coperchio per il portaoggetti.
    Nel 1970 vengono introdotte la versione familiare Break e la versione sportiva Gordini.
    La Renautl 12 Break era disponibile negli stessi allestimenti della berlina L e TL, e seguirà tutte le evoluzioni che saranno disponibili per la versione berlina, inoltre il grande successo porterà all’introduzione delle vettura commercial, priva del divanetto posteriore e con un enorme vano di carico dedicato al trasporto delle merci. Erano disponibili fino a 1.65 metri cubi di capacità di carico, un vero record per una vettura che, rispetto alla berlina, era cresciuta di appena 6 cm, portandosi a 4.40 metri. Quanto alla portata massima, la Commerciale consentiva il trasporto di merca fino a 435 kg.
    Esternamente, la Break e la commerciale erano identiche e si distinguevano dalla berlina, oltre che per il completa rivisitazione della parte posteriore, anche per il differente disegno dei gruppi ottici posteriori, questa volta a sviluppo verticale.

    Renault 12 Break
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    Renault 12 Commerciale
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    La Renault 12 Gordini, è forse il veicolo più particolare della gamma, un modello che va a raccogliere il testimone della precedente e indimenticata Renault 8 Gordini, che fece da nave scuola a parecchi piloti alle prime armi.
    Lo sviluppo della vettura inizia nellì’estate del 1969, poco prima della presentazione ufficiale alla mostra di Parigi, venne portato avanti insieme all’Alpine di Amedeo Gordini, del grande preparatore degli anni ’50, però era rimasto solo il nome. Il progetto fu affidato a Geroges Dalboussiere. I collaudi videro la nuova sportiva percorre le piste africane solitamente destinate al Rally del Marocco, dove ci si accorse che il telaio andava rivisto in alcuni particolari, era soprattutto il sottosterzo, dovuto alla pozione del motore, che penalizzava la vettura, che rispetto alla Renault 8 Gordini, in pista guadagnava soltanto mezzo secondo. Fu così rivista tutta la meccanica, avantreno e retrotreno furono irrigiditi e ribassati, e in particolare fu montata una barra antirollio anteriore di maggior diametro, mentre l'asse rigido posteriore si avvalse del sostegno di triangoli superiori e bracci inferiori. Lo sterzo divenne più diretto e in grado di fare la sterzata completa in meno giri di volante.
    La vettura, anche se già prenotata da vari piloti desiderosi (126 per la precisione) di partecipare alla Coppa Gordini, sarà consegnata solamente nel febbraio del 1971.
    Gli esemplari di pre-serie erano tra l'altro equipaggiati con sedili mutuati dalla versione L, mentre nella versione definitiva sarebbero stati utilizzati sedili tratti dalla versione TL. Inoltre, sempre per quanto riguarda gli esemplari di pre-serie, furono montati dei pannelli porta semplificati senza poggiabraccia. Tra le soluzioni che invece furono adottate già in questi esemplari, e che sarebbero rimaste anche nella serie vera e propria, vi fu l'eliminazione dei paraurti. Per quanto riguarda il motore, si trattava di una versione spinta dell'unità da 1565 cc montata sulla Renault16 TS, su cui fu modificato il rapporto di compressione, portato a 10,25:1, furono modificate le camere di scoppio e furono montati due carburatori doppio corpo Weber da 45, portando la potenza massima a 113 CV DIN, il tutto abbinato ad un nuovo cambio manuale a 5 rapporti. Tale gruppo motopropulsore fu una delle prime soluzioni approvate prima ancora di dover ricorrere a tutta quella serie di modifiche al telaio appena descritte.
    La Renault, anche dopo la consegna degli esemplari di pre-serie, volle rivedere e aggiornare nuovamente la vettura. Perciò la commercializzazione della R12 Gordini non fu avviata che nel settembre del 1971, un anno dopo la sua presentazione.

    Renault 12 Gordini
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    Il successo della vettura era enorme nei primi due anni di vita era già stata venduta in 13.784 esemplari.
    Nel 1972 arrivò un modello intermedio, la TS che si poneva tra le versioni L e TL e la più potente Gordini, il motore 1300, lo stesso delle versioni normali, era però portato 60 CV DIN (68 CV SAE), grazie all’adozione di un carburatore doppio corpo. Lo stesso motore che poi equipaggerà la Renault 15 TL, una vettura coupé che era strettamente imparentata proprio con la Renault 12.
    L’equipaggiamento della Renault 12 TS era anche più completo, nuovi i cerchi dal disegno specifico, i faretti antinebbia supplementari e addirittura i sedili anteriori con poggiatesta integrato.
    L’aspetto più sportivo fece decollare le vendite di questa versione che era per molti la Gordini dei poveri.
    Nessuna modifica di rilievo per il resto della gamma, se non il diverso posizionamento del freno a mano, che ora si trova tra i sedili e non più in plancia, questa modifica comportò, nella versione L alla scomparsa della panchetta anteriore per adottare due sedili separati.

    Renault 12 TS
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    Sempre nel 1972, come optional furono aggiunte le luci di retromarcia.
    Tante le novità previste nel 1974, l’allestimento TS fu esteso anche alla versione Break, creando una vettura potente e lussuosa, di certo più potente che da lavoro. Le versioni TS ricevettero nuovi fari e proiettori allo iodio, il che permise l'eliminazione dei faretti supplementari utilizzati fino a quel momento. Nello stesso periodo, la gamma si estese ulteriormente con l'arrivo della 12 TR, ossia la versione con cambio automatico, in questo caso a 3 rapporti. Il motore era quello della TS, e così pure i sedili integrali, mentre il restante allestimento interno era quello della

    Renault 12 Break TS
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    Renault 12 TR
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    Nel mese di Luglio del 1974, dopo aver adottato i paraurti anteriori, i fari fendinebbia, nuovi colori e avere come optional un motore più potente da ben 1600 cc e 160 CV, la Renault 12 Gordini venne tolta di produzione, non riuscendo ad eguagliare la Piccola Renautl 8 Gordini.
    Nell’autunno del 1974 le vetture Break vennero rinominate, la Renault 12 L divenne LN, la TL divenne TN, e venne adottato il cambio automatico della TR.
    Il restyling di metà carriera si ebbe nel 1975, che interessò il frontale, che riprese i fari della versione TS per tutta la gamma ma abbinata a una nuova mascherina e un diverso stemma della Casa di Billancourt. il tutto contornato da una cornice color grigio argento che avvolgeva anche i proiettori, dando l'impressione che invece fossero stati anch'essi rivisitati. Rimanendo nella zona anteriore della vettura, gli indicatori di direzione e le luci di posizione furono incorporati nel paraurti, anch'esso rinnovato.
    Lateralmente le modifiche si limitarono alla presa d’aria laterale a sviluppo verticale lungo il montante posteriore, sostituita da una presa d'aria romboidale e posta alla base del montante stesso.
    Posteriormente le novità riguardavano i nuovi e più grandi gruppi ottici posteriori, sopra di essi fu applicata una banda nera a tutta larghezza, mentre in basso fu montato un nuovo paraurti, analogamente a quanto fatto per il frontale. Tali modifiche estetiche riguardarono solo la berlina: la Break fu ridisegnata solo nel frontale.
    Grandi modifiche anche per gli interni cambiarono il cruscotto e il volante, passato da due a quattro razze. La versione TS ricevette nuovi cerchi dal disegno più moderno, mentre i suoi sedili, sempre di tipo integrale, furono ridisegnati nella parte superiore, che divenne cava. La gamma motori rimase invariata.
    Ala fine dell’anno del 1975, le versioni Break LN e TN ritornarono alle loro precedenti denominazioni (L e TL), mentre la versione TR dotata di cambio automatico, finì per essere battezzata semplicemente Automatic.

    Renault 12 TL
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    Renault 12 Break TL
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    Renault 12 Automatic
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    Nel 1976, fu creata una nuova versione commerciale della Renault 12 Break priva della vetratura e delle porte posteriori denominata Societè.

    Renault 12 Societè
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    In questo periodo la Renault 12, cominciò a perdere consensi, tanto da essere superata dalla Renault 5 e dalla Renault 14, quest’ultima anche se da una parte fu un flop commerciale, riuscì comunque a portare via clienti dalla più grande e costosa Renault 12.
    Verso la fine del 1976, la gamma ricevette aggiornamenti di dettaglio, concentrati praticamente solo negli allestimenti interni (strumentazione con lancette color arancio, nuove cinture di sicurezza con avvolgitore, moquette sulle versioni TL e TS, ecc). Un'altra novità fu la riduzione della potenza massima nella L, che ora poteva disporre solamente di 50 CV, ma poteva in compenso essere alimentata anche con benzina normale.
    Nel 1977 la Renault 12 L, divenne semplicemente 12.
    Nel 1978, con i Mondiali di Calcio in Argentina, dove la vettura era prodotta da tempo, venne creata una forte campagna pubblicitaria, che riportò alla ribalta la vettura anche in Europa, dove visse per tutto il periodo dei Mondiali portò ad un nuovo periodo di vendite.
    Verrà affiancata e poi sostituita dalla Renault 18 nel 1979, dopo una serie di rivisitazione e impoverimenti delle serie.
    La vettura però proseguirà in altri paresi fuori dall’Europa come Spgna, Argentina etc.
  3. .
    Ispirata alla Ford Maya del 1984, è una berlinetta cinque porte dalle linee sportive e aerodinamiche, che si potrebbe definire coupé a quattro posti.
    Ispirata alla Ford Maya del 1984, è una berlinetta cinque porte dalle linee sportive e aerodinamiche, che si potrebbe definire coupé a quattro posti.
    L'architettura generale della Oldsmobile Incas si rifà alla Medusa del 1980, una berlinetta cinque porte, quattro posti a motore centrale. Tuttavia l'incas, grazie al sistema di apertura delle porte (anteriori a cupola mobile come sulla Quaranta, posteriori ad ala di gabbiano) e alla forte immagine sportiva, è più una vettura esotica, un coupé a quattro posti.
    Della berlina mantiene comunque l'abitabilità, la quota da pedale freno a schienale posteriore è identica a quella della Lancia Thema.
    L'interno è votato al massimo comfort, invece dei sedili ci sono vere e proprie poltrone che avvolgono i passeggeri.
    Il volante è ispirato ad una cloche areonautica e ad alcune richerche di marketing condotte in Giappone dalla Mazda secondo cui le giovani generazioni di acquirenti di auto, cresciute con i videogame, preferiscono appunto la cloche al posto del volante tradizionale.
    La cloche richiede un angolo di sterzo di soli 90º per lato, nell'impugnatura di destra si trovano i comandi di cambio, condizionatore, tergicrisalli, quella di sinistra luci, indicatori di direzione impianto stereo e cruise control. Il clacson è su entrambe le impugnature.
    Sulla Incas molte sono le soluzioni tecniche e stilistiche presenti nei prototipi precedenti e rielaborate allo stato attuale dell'arte: la cupola della Testudo, le porte della Tapiro, il finestrino della Boomerang e il tetto in vetro della Etna.

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    La Subaru 360 è una due porte, prodotta tra il 1958 e il 1971, rientra nella categorie della Kei Car, ed è anche stata la prima vettura prodotta dalla società.
    Come la maggioranza delle kei car del periodo, anche questa utilizza un piccolo motore a 2 tempi di 356 cc di origine motociclistica, montato trasversalmente la miscela era fatta manualmente, un po’ come le vecchie Vespa, solo più avanti sarà introdotto un miscelatore con un piccolo serbatoio posto sotto il cofano, inoltre non c’era un indicatore della benzina, ma un più semplice commutatore a levetta che bisognava giare per mettere in riserva, non esisteva una pompa benzina, ma la stessa arrivava al carburatore per caduta.
    Prevista in un unico allestimento a due porte, Station Vagon denominata Custom, convertibile e con allestimento sportivo denominato Young SS, la vettura sarà l’auto più popolare in Giappone, prendendo il soprannome di Coccinella.
    Gli studi del nuovo veicolo iniziano presso la fabbrica Nakajima Aircraft Company, una azienda che dopo la seconda guerra mondiale si era convertita alla costruzione di piccoli scooter, gli studi per una vettura inizieranno solamente nel 1955, dopo l’unificazione di alcune aziende che formeranno la Fuji Heavy Industries, oggi meglio conosciuta come Subaru.

    Nakajima Aircraft Company
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    Fuji Heavy Industries
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    Seguendo le nuove direttive appena emanate dallo Stato per le Kei car, era poco costosa, pratica e dai consumi bassi, la Subaru 360 è ben accolta dal grande pubblico, tanto da farla diventare l’auto nazionale, la vettura che ha consentito la mobilità urbana, un po’ come fece la Fiat 500 in Italia, e creando le basi delle Kei Car, aiutando lo sviluppo del dopoguerra divenendone parte della storia stessa, non a caso ancora oggi esistono club a lei dedicata, ma soprattutto la ritroviamo in manga come Pokemon o Doreamon, o videogiochi come Gran Turismo, nel 2013 la Oriental Watch Company ha introdotto una serie limitata per l’anniversario dei 55 anni della Subaru 360.

    Pokemon
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    Oriental Watch Company
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    Le vetture sono state importate anche in America dall’uomo d’affari Malcolm Bricklin, il quale fonderà la Subaru America nel 1969, per poi abbandonarla nel 1970 per dare seguito alla costruzione di una sua propria vettura tramite l’apertura della nuova società omonima e la creazione della sua prima automobile chiamata Bricklin SV-1.

    Malcolm Bricklin
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    Purtroppo le vendite in America subirono un arresto per via della poca sicurezza, e con le normative sempre più restrittive fu definitivamente tolta dal mercato, ma questo non minò il marchio, che grazie alla sua prima vettura diventerà nel tempo un best-seller. Addirittura si racconta che la rivista Consumer Reports, dopo aver testato la Subaro 360 la marchiò come inaccettabile, spesso i venditori furono costretti a mantenere le vetture nei propri piazzali per alcuni anni rimanendo invendute.

    Crash test Subaru 360
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    Il design della vettura si deve a Shinroku Momose che creò un’automobile molto semplice, con carrozzeria monoscocca, il motore a due tempi di 356 cc e 16 cv è posto posteriormente abbinato ad un cambio a 4 marce o ad un tre rapporti senza frizione, bastava porre la mano sulla leva per attivare la frizione elettromeccanica, la velocità massima era di 60 miglia orarie (90 km/h), riusciva a fare lo 0-60 in circa 37 secondi, gli ammortizzatori sono posteriormente a barra di torsione e molla elicoidale centrale, anteriormente a ruote indipendenti.

    Shinroku Momose
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    Spaccato vettura
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    Motore Subaru 360
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    La line d’insieme è equilibrata con i grandi fari anteriori che le fecero ottenere il nomignolo di coccinella, le portiere si aprivano controvento (suicide doors), mentre l’interno era adatto per 4 persone, presentava una plancia completamente in metallo, il tetto era in materiale plastico per ridurre il peso, che abbinato alla lamiera meno spessa, ne riducevano il peso a 900 lb (410 kg), sempre per ridurre il peso anche il lunotto posteriore è in materiale acrilico, che se da una parte riusciva a ridurne il peso, dall’altro tendeva a perdere la sua trasparenza ed ad ingiallirsi nel tempo.
    Il progetto iniziale della vettura fu affidato Murota Kozo e il disegno a Tatsuzo Sasaki , un designer industriale che imposterà le linee iniziali della vettura, ma il progetto finale poi si deve a Shinroku Momose, per verificare lo spazio interno della vettura si è preso come riferimento l’altezza, non indifferente per lo standard giapponese, di Momose che era alto 1.80 cm, il quale riuscì a trovare posto comodamente nella parte posteriore, questo permise di creare una vettura compatta, ma adatta a 4 persone, e ovviamente adatta senza difficoltà alla maggior parte dei giapponesi alla fine del 1950.
    Le ruote da 10 pollici, sono di origine motociclistica, che meglio si adattavano alle forme della vettura, usare cerchi e ruote più grandi, non solo avrebbero rovinato la linea di insieme della vettura, ma di fatto avrebbero vanificato la ricerca di ridurre il peso, erano equipaggiati da gomme di marca Bridgestone a 4 tele, che in teoria dovevano essere più robusti delle gomme per moto.

    Subaru 360
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    Nel 1960 abbiamo un piccolo restyling nel frontale e vengono presentante le versioni:

    Subaru 360 Custom
    La Custom, manteneva la carrozzeria a due porte, ma era modificata nella parte posteriore, invariato l’allestimento ed il motore.

    Subaru 360 Custom
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    Subaru 360 Convertibile
    La versione Subaru 360 convertibile, era identica alla berlina di base ma prevedeva un tetto in tela apribile per tutta la lunghezza della vettura, un po’ come le prime serie della Fiat 500.

    Subaru 360 Convertibile
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    Subaru 360 young S e Subaru 360 young SS
    Sicuramente le vetture più interessante era la Subaru 360 young s, che prevedeva un nuovo frontale con fari carenati, di fatto una specie di restyling del modello, il cambio era solo manuale a 4 marce, sedili avvolgenti e tachimetro con fondo nero, il cofano presentava della strisce nere , inoltre il tetto era sagomato per permettere il trasporto di una tavola da surf e la Subaru 360 young 360, che manteneva le stesse caratteristiche della Subaru 360 young s, ma aveva il motore con cilindri cromati un doppio carburatore Mikuni Solex in questa maniera i cv salivano a 36.

    Subaru 369 Young SS
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    La piccola vettura uscirà di scena nel 1971, verrà sostituita dalla Subaru R-2 che verrà affiancata nel 1969, in 12 anni di produzione ne saranno vendute 392.000.

    Brochure
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  5. .
    Ciao e benvenuta sul forum, hai detto tante cose, ma la cosa forse fondamentale è: Ti piacciono le automobili? Il perchè vuoi seguire questo forum, che interessi ci trovi etc.
    Che vettura hai o vorresti avere, insomma domande o risposte più pertinenti con il tipo di forum
    Saluti
  6. .
    La Honda n360 è stata la prima minicar a trazione anteriore, con propulsore di origine motociclistica, presentata dalla casa automobilistica giapponese al 13° Motor Show di Tokyo nell’ottobre del 1966, diventando in poco tempo un bestsellers, superando nel 1967 il record di vendite.
    La Honda n360 fa parte della categoria Keicar, quelle microvetture con misure minime: lunghezza di 3.40 metri e larghezza di 1.48 con un’altezza di 2 metri e una cilindrata di 660.
    In realtà essendo nata prima delle ultime modifiche del 1988, quando la Honda n360 è nata le norme erano più restrittive e prevedevano una lunghezza di 3.20 una larghezza di 1.40 ed un motore non superiore ai 550 cc.
    Catena di montaggio Honda N360
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    Spaccato Honda N360
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    Per paragonarla a una vettura Europea, possiamo prendere ad esempio la nostra Fiat 500 F:
    lunghezza massima di 2.97 metri, larghezza massima di 1,32 metri e una altezza massima di 1,32 metri.

    Fiat 500 F a confronto con la Honda N360
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    La linea della Honda N360 è molto pulita, presentando una linea compatta, ma equilibrata, il motore di 354 cc e 31 cv è un due cilindri raffreddato ad aria, di derivazione motociclistica (il motore è lo stesso che montava la moto Honda Cb450), abbinato ad un cambio a 4 rapporti tutti sincronizzati. Questo stesso motore è stato utilizzato anche sulla Honda Vamos.

    Honda Vamos
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    La vettura era disponibile nella versione due porte e nella versione tre porte chiamata Honda LN360 van, presentata a giugno del 1966. Le due vetture sono simili fino alle porte, la differenzia è poi nella coda in cui al posto del portello singolo troviamo un portellone diviso in due parti e una linea più squadrata che fa sembrare la vettura una piccola station wagon, per massimizzare la capacità di carico della vettura.

    Honda N360
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    Honda LN360 Van
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    Nell’agosto del 1968 viene presentata la prima versione automatica chiamata Honda N360 AT, e sarà la prima kei car ad essere dotata di cambio automatico.

    Honda N360 AT
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    Nel 1969 la vettura ora denominata Honda II 360 vede il motore aumentare a 400, infatti spesso la vettura è anche indicata come Honda N400, proprio per l’aumento della cilindrata, anche in questo caso il motore è di origine motociclistica della Honda Cb400, raffreddato a liquido per meglio adattarsi alle nuove normative antiinquinamento promosso dal Giappone.

    Honda NII 360 o N400
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    Nel 1970 abbiamo il primo restyling della vettura, che si presenta con una nuova mascherina, ora le frecce sono posizionate sotto al paraurti e non più integrate all’interno della mascherina, praticamente invariato il posteriore se non per il diverso disegno delle luci di retromarcia.

    Honda NIII 360
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    Honda LNIII 360
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    Il grande successo della piccola N360, la voglia di aumentare le vendite anche fuori dai propri confini, convince la Honda ad elaborare la vettura e presentare la Honda N600, nel mese di novembre del 1968 accanto alla piccola Honda N360 viene offerta la più grande N600, che non rientra più, per l’epoca, nelle kei car, ma nasce proprio per il mercato Americano ed Europeo. La prima testata giornalistica a provare la nuova vettura è il Britannico Motors, riferendo una velocità massima di 77,1 mph (124.1 km/h) e una accellerazione da0-60 mph (97 km/h) in 19 secondi, consumando 36.3 miglia per gallone imperiale (7,8 l ogni 100 km). La vettura di test usata dalla rivista aveva un costo di 589 £ tasse incluse, un costo leggermente più alto di una Mini 850 che veniva venduta a 561 £.

    Brochure N360
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    Nel 1969 la Honda N600, viene per la prima volta importata in America, il successo è enorme, grazie al consumo ridotto, alla buona velocità, che la fanno preferire come seconda auto.

    Honda N600 per il mercato Americano
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    La Honda n360 e N600 è stata anche assemblate fuori dal giappone, in Taiwan con la creazione di una joint venture la ditta locale Sanyang Industrial beginning (oggi meglio conosciuta come SYM) in 1969, da questo accordo è nata la Fu Gui, che significa 'Ricchezza 'in cinese.
    La produzione verrà terminata nel 1972 con l’introduzione della Honda Civic.
    Curiosità.
    Se qualcuno leggendo si è chiesto il significato della N, ve lo spiego subito, in Giappone la N stava per norimono ossia viecolo. La vettura ha anche adottato il vezzeggiativo di Enu'koro ossia piccolo cucciolo.

    Edited by xericos - 26/1/2016, 22:35
  7. .
    Molto spesso si parla di Kei car, il nome deriva da kei jidosha o veicoli leggeri, un termine usato nel Sol Levante per indicare una tipologia di vetture molto piccole, in Italia l’unica Key Car ad avere tali dimensioni è la primissima serie della smart, il modello conosciuto come 450 nelle cilindrata di 600 cc.
    In giappone venduta senza gli allargamenti posteriori tipici della Smart di serie.

    Smart per il mercato Gipponee
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    La nascita delle Kei car, conosciute anche come k car, risale al 1949, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il Giappone, duramente provato, era impegnato nella ricostruzione.
    Il governo decise, per cercare di promuovere lo sviluppo dell’industria automobilistica e per favorire il trasporto, di emanare una legislazione che favorisse le vetture di piccole dimensioni, dal costo contenuto e dalla facile manutenzione.
    Tutte le Kei car sono identificate da una targa di riconoscimento specifica. Le vetture destinate ad uso privato si riconoscono per la loro targa a fondo giallo con i numeri in nero, mentre nei veicoli commerciali il colore di fondo è il nero mentre i numeri sono in giallo.

    Targa Veicoli privati
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    Targa Veicoli commerciali
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    Le vetture normali invece hanno la classica targa a fondo bianco e scritta in nero.
    La competizione tra i vari costruttori è molto forte, e questo ha fatto sì che ogni nuovo modello proponga prestazioni ed equipaggiamento sempre migliori. Spesso queste vetture si pongono all'apice dello sviluppo tecnologico e le soluzioni introdotte sulle Kei car sono poi utilizzate su tutta la gamma di vetture prodotte dal costruttore. Tra gli equipaggiamenti troviamo motori turbo, per sopperire alle piccole cilindrate utilizzate, aria condizionata, 4 ruote motrici, sistemi di navigazione e negli ultimi anni motori ibridi.

    La prima normativa è stata emanata l’8 luglio del 1949 e prevedeva la seguente regolamentazione:

    Lunghezza massima: 2,8 m
    Larghezza massima: 1 m
    Altezza massima: 2 m
    Cilindrata massima: 150 cm³ se dotate di motore a 4 tempi oppure 100 cm³ se il motore era a due tempi.

    Come si vede più che autovetture, si possono paragonare a moto con 4 ruote, , data la piccola cilindrata, ed in effetti le Keicar erano una alternativa al motociclo.

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    Il 26 luglio del 1950 la lunghezza viene portata 3 metri e la larghezza 1,3 metri, anche i motori ricevono un incremento di cilindrata passando a 300 cc per i 4 tempi e a 200 cc per i 2 tempi.

    Suzuki Suzulight SS
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    Subaru 360
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    Il 1 gennaio del 1976 abbiamo una nuovo aumento della lunghezza che arriva 3,2 m e la larghezza passa a 1,4 m. I motori 4 tempi arrivano alla cilindrata di 550 cc.

    Honda N360
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    Nel Gennaio del 1984 un ulteriore incremento della lunghezza ora le vetture posso arrivare ad essere lunghe 3,4 m. I motori arrivano alla cilindrata di 660 cc.

    L’ultima normativa attualmente valida, risale al 1 ottobre del 1988:

    Lunghezza massima: 3,4 m
    Larghezza massima: 1,48 m
    Altezza massima: 2 m
    Cilindrata massima: 660 cm³.
    Potenza massima 64 CV

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    Nel 2014 il governo giapponese presieduto da Shinzō Abe aumenta la tassazione sulle kei car del 50%, rendendole così meno vantaggiose rispetto alle automobili più grandi, al fine di stimolare i costruttori alla produzione di modelli normali e quindi esportabili; le kei car, infatti, riscuotono successo soltanto sul mercato interno.
    In Giappone prima di poter acquistare una vettura, bisogna dimostrare di avere un posto auto dove parcheggiarla (di proprietà o in affitto) senza il quale non è possibile in partenza comprare una macchina in Giappone. Ovviamente visto i costi salati (circa 313 euro al mese) per un posto auto di proprietà, ne consegue che il boom delle piccole kei car permette di fatto di avere usufruire di spazi piccoli permettendo un notevole risparmio.

    Parcheggi tipici
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  8. .
    L’Austi A40 Farina è una piccola vettura Inglese, prodotta dalla Brithis Motor Corporation e commercializzata come Austin tra il 1958 e il 1967 nelle versioni Saloon con e nella versione Countryman, le differenze tra le due vetture erano relative alla conformazione del portellone, un piccolo sportello a ribaltina per la versione Saloon e un portellone diviso in due per la versione Countryman.

    Fabbrica
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    Disegnata da Pinifarina, la vettura è stata prodotta anche con il marchio Innocenti di Milano tra il 1960 e il 1967 come Innocenti A40.

    Innocenti A40
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    La vettura comunque è meglio conosciuta come A40 Farina, per distinguerla da un modello analogo prodotto anni prima. Mentre in Svezia è stata venduta come Austin A40 Futura, perché il nome Farina era associabile a un tipo di zucchero prodotto in Svezia.

    Austin A40 Futura
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    Presentata al Salone di Londra del 1958, la prima serie dell’Austin A40 Farina è destinata a sostituire la ormai anziana Austin A35, da cui eredita gran parte della meccanica, il disegno originale, che come già detto è opera di Pininfarina, da vita ad un veicolo Hatch back a due porte che coniugava abitabilità, robustezza ed elementi d'eleganza "British" (come le piccole pinne posteriori ed il coperchio del bagagliaio a "ribaltina"), gli interni sono sobri, economici ma nello stesso tempo eleganti, la panchina posteriore può essere ribaltata anche sulla versione Saloon, per permettere l’inserimento di oggetti lunghi, ottenendo un piano di carico piatto.

    Austin A40 Farina 1958
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    La meccanica era di tipo tradizionale per l’epoca, il motore anteriore longitudinale era il noto 4 cilindri A-series con distribuzione ad albero a camme laterale di 948 cc da 40 cv SAE, trazione posteriore e retrotreno ad assale rigido con balestre a foglia e freni a taburo.

    Meccanica Austin A40 Farina
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    Nel 1959, un anno dopo la presentazione al Salone di Londra, è lanciata la versione Countryman, rispetto al modello berlina troviamo un portellone, diviso in due parti.

    Austin A40 Farina 1959 Countryman
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    A ottobre del 1959 la vettura è leggermente rivista, una nuova luce centrale per gli interni, mentre esternamente le poche differenze tra la versione Saloon e Countryman sono eliminate.
    All’inizio dell’estate del 1960, un coperchio piatto è aggiunto sopra la ruota di scorta nel vano bagagli.

    Austin A40 Farina 1960
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    Nel 1962 è fatto un restyling, piccole modifiche al frontale, nuova griglia, e un nuovo cruscotto, il motore vede aumentare i cavalli a 44, 4 in più della precedente unità motrice.
    Nel 1962 il motore è sostituito con un’unità più di 1098 cc e 48 cv abbinato ad un cambio ora completamente sincronizzato.

    Austin A40 Farina 1962
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    Nel 1964 la plancia ha un nuovo rivestimento in legno, i freni sono completamente rivisti ed ora sono idraulici.

    Austin A40 Farina 1964
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    La vettura proseguirà le sue vendite in leggero calo fino al 1967, quando sarà tolta di produzione.

    La piccola vettura inglese è stata prodotta su licenza dalla Innocenti di Milano.
    In Australia presso lo stabilimento di Sydney, dalla British Motor Corporation (Australia) Pty Ltd dal 1959 al 1962.
  9. .
    La Lamborghini 350 GTV, è stata la prima vettura prodotta dalla casa, presentata al Salone di Torino del 1963 come prototipo sarà la base della futura Lamborghini 350 GT.
    Prima di proseguire con la storia della vettura è doveroso aprire una piccola parentesi.
    La storia racconta di un battibecco che si ebbe tra il Drake e Ferruccio Lamborghini, il quale non contento della sua Ferrari 250 si lamentò direttamente con Enzo Ferrari, per tutta risposta Ferrari lo invitò a concentrarsi sulle macchine agricole e a lasciare a lui il compito dell’auto sportive. Da questo litigio nacque la casa antagonista per eccellenza della Ferrari. Ora la leggenda si è nel tempo confusa, c’è chi dice che Lamborghini si era alterato scoprendo che le frizioni erano le stesse montate su i proprio trattori, chi per il differenziale troppo rumoroso, sta di fatto che l’imput permise la creazione di una bella casa come la Lamborghini.
    Il progetto della realizzazione della prima vettura con il marchio del toro ebbe inizio nel 1962, ancora prima che venisse portato a termine lo stabilimento di Sant’Agata Bolognese, il disegno della carrozzeria si deve a Franco Scaglione che disegno una vettura particolare, molto moderna anteriormente con i fari a scomparsa, una nervatura centrale a dividere il cofano motore su cui è presente una grande presa d’aria per il motore, il simbolo della casa, già adottato dai trattori Lamborghini, è posto nella parte destra del cofano, appaiato alla firma di Ferruccio. La zona posteriore invece è molto più squadrata , creando un netto contrasto con le linee moderne dell’anteriore.

    Ferruccio Lamborghini davanti la 350 GTV
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    Franco Scaglione
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    Il motore è progettato dall’ex Ferrarista Giotto Bizzarrini, che seguendo le direttive di Ferruccio Lamborghini, crea un motore v12 longitudinale con albero a camme in testa, 6 carburatori Weber 36IDL1, 24 valvole (2 per cilindro), alesaggio di 77.0 mm, corsa da 62,0 mm e lubrificazione a carter secco abbinato ad un cambio a 5 marce. Il motore nella versione originale ha una cilindrata di 3497 cc per una potenza di 360 cv a 8000 giri al minuto ed una coppia di 326 N m a 6000 giri per una velocità massima di circa 280 km/h.

    Giotto Bizzarrini
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    Gl interni si presentano con un cruscotto composto da due grandi elementi circolari e l’indicatore della benzina, sempre circolare, più piccolo posto al centro, nella consolle centrale troviamo 4 elementi circolari che servono per tenere sotto controllo tutti di dati della vettura, più in basso una serie di leve relative al riscaldamento.
    Esistono due prototipi della bella e particolare Lamborghini 350 gtv, quello presentato al salone di Torino, privo del motore di colore grigio ed un altro di colore verde.

    Primo esemplare
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    Secondo esemplare
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    Brochure
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  10. .
    Prodotta in due serie tra il 1960 e il 1964, fa parte di quei modelli d’alta gamma che erano costruiti in base ai desideri del cliente. Un grande V12 da quattro litri, con tanta potenza ma anche molta coppia, interni sobriamente lussuosi, assetto rigido ma in grado di garantire un discreto comfort, cambio di velocità con “overdrive”. Le carrozzerie, tutte di Pininfarina, comprendevano le tipologie spider, cabriolet e coupé aerodinamico, oltre ai famosi modelli unici Superfast II, III e IV.
    La serie di vetture 400 Superamerica raccolse l’eredità dei precedenti modelli 410 Superamerica, e restò in produzione dal 1959 al 1964. Con queste automobili, per la prima volta la Ferrari rinunciò alla consuetudine di battezzare le vetture con il numero indicante la cilindrata unitaria del motore: in questo caso, infatti, il “400″ si riferiva alla cilindrata totale dell’unità motrice, che su questa vettura era di quattro litri. Tranne due esemplari, tutte le 46 automobili di questa serie furono disegnate da Pinin Farina (la società mutò il suo nome in Pininfarina solo nel 1962), e la maggioranza di questi esemplari fu concepita in forma di coupè.
    Il telaio, con numero di riferimento interno 538, inizialmente aveva un passo di 2420 mm ma poi crebbe fino a raggiungere i 2600 mm, con lo scopo di aumentare lo spazio disponibile all’interno dell’abitacolo. Gli chassis furono numerati con la sequenza di cifre dispari tipica delle vetture stradali cui fu aggiunto il suffisso “SA”, e la loro costruzione seguì le linee generali impostate per la coeva serie 250 GT: un paio di longheroni a sezione ovale di grandi dimensioni che passavano sull’assale posteriore, rinforzati da abbondanti crociere e da un robusta parte anteriore. Le sospensioni anteriori erano indipendenti, a braccia oscillanti e molle elicoidali con ammortizzatori individuali, mentre l’assale posteriore con bracci guida era di tipo rigido supportato da balestre semi ellittiche e ammortizzatori idraulici su ogni ruota. I freni a disco con comando idraulico erano presenti su tutte le ruote, mentre il freno a mano comandato da un cavo agiva sull’assale posteriore. Tranne la vettura con telaio n.2311 SA, tutti gli esemplari furono costruiti con la guida a sinistra.
    I motori avevano numero di riferimento interno 163 e un rapporto di compressione pari a 8,8:1. Le unità motrici avevano abbandonato il disegno a “blocco motore lungo” di Lampredi, utilizzato nella precedente serie di vetture denominate 410, ed erano state progettate secondo il progetto di Colombo, che prevedeva un singolo albero a camme in testa per bancata di cilindri ed era già in uso sulla serie 250 GT in produzione in quel periodo. Questo propulsore fu ingrandito con lo scopo di aumentare la sua cilindrata, allargandone l’alesaggio a 77mm e allungandone la corsa a 71mm: il risultato finale diede una cilindrata di 3967cc.
    Erano presenti una doppia bobina e un distributore d’accensione, comandato dalla parte posteriore degli assi a camme ai lati della V. Il motore era alimentato da una tripletta di carburatori doppio corpo Weber 40 DCZ/6, 42 DCN o talvolta Solex C40 PAAI, la potenza erogata era di circa 340 cavalli.
    L’unità motrice era abbinata ad un cambio a quattro velocità tutte sincronizzate, dotato di overdrive elettrico sul rapporto superiore. Il moto era inviato al ponte rigido posteriore tramite un albero di trasmissione.
    La prima vettura prodotta fu un esemplare unico con carrozzeria speciale realizzato sul telaio 1517 SA per conto di Gianni Agnelli, costruito verso la fine del 1959 e presentato al Salone dell’Automobile di Torino nell’ottobre dello stesso anno. La sua linea era caratterizzata da una griglia del radiatore piuttosto squadrata che si estendeva quasi fino al fondo del musetto, ai lati della griglia erano stati collocati i semi paraurti avvolgenti. Nel disegno erano presenti elementi stilistici di scuola americana, con il parabrezza avvolgente e i doppi gruppi ottici anteriori orizzontali, al di sotto dei quali erano stati installati i fendinebbia singoli. Le luci posteriori prevedevano una cornice cromata verticale sui due lati che incorporava tre gruppi ottici circolari, poi adottati anche nella produzione in serie delle 400 SA cabriolet, nei primi esemplari delle coupè e nella 250 GTE, entrata in produzione nel 1960.

    Ferrari 400 Superamerica di Gianni Agnelli
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    Tra il Salone di Torino e la consegna al cliente alla fine di maggio 1960, l’estetica della vettura fu affinata. La parte frontale fu modificata per ridurre le dimensioni della griglia radiatore, rimasta in ogni caso di forma quadrata e che ora vedeva sotto di lei un unico paraurti. Le prese d’aria orizzontali che erano presenti sopra i due paraurti avvolgenti scomparvero, mentre quella sul cofano motore fu modificata e fu aggiunta una striscia cromata sulla nervatura ai lati della carrozzeria, con lo scopo di renderla più evidente.
    Il secondo esemplare, ma il primo della produzione in serie, fu la cabriolet con telaio n. 1611 SA che fece il suo debutto al Salone di Bruxelles nel gennaio 1960, e poche settimane dopo fu esposta al New York Show. La forma della 400 SA cabriolet era abbastanza simile a quella di una contemporanea 250 GT cabriolet, anche se la sua griglia anteriore era meno profonda e alle sue estremità di solito erano presenti i fari antinebbia. In qualche caso fu installato un proiettore anteriore supplementare, sito in posizione centrale.

    Ferrari Superamerica Cabrio n.1611 SA
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    Poiché queste erano automobili molto costose e di limitata produzione, i clienti avevano la possibilità di ottenere ampie personalizzazioni e quindi non ci sono due vetture identiche in ogni dettaglio. Una delle scelte più rilevanti, era la possibilità di avere i gruppi ottici anteriori di tipo tradizionale oppure incassati nella carrozzeria e protetti da una copertura in plexiglas. Quando un cliente sceglieva l’opzione con i proiettori tradizionali su una “coupè aerodinamica”, l’intero aspetto frontale della vettura cambiava e la forma della griglia radiatore diventava come quella utilizzata sulle cabriolet. Un esemplare, con telaio n. 2311 SA, ricevette un corpo vettura virtualmente identico a quello della 250 California Spider, aveva la guida a destra e fu costruito appositamente da Scaglietti per Michiel Paul-Cavalier, membro del consiglio direttivo della Ferrari.

    Ferrari Superamerica n.2311 SA
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    Un altra vettura, con numero di telaio 3673 SA, fu carrozzata con le linee della 250 GT berlinetta “passo corto”.
    E’ stato erroneamente scritto che Enzo Ferrari circolasse con un esemplare vestito da una carrozzeria della 250 GTE 2+2, ma gli archivi dell’azienda confermano che tale vettura era proprio una normale 250 GTE, avente numero di telaio 2257 GT.
    Le “coupè aerodinamica” realizzate per la 400 Superamerica si evolsero partendo da uno studio di design, mostrato da Pinin Farina nel proprio stand durante il mese di novembre 1960 al Salone dell’Automobile di Torino e realizzato sul telaio 400 SA numero 2207 SA.
    La macchina fu battezzata “Superfast II” e divenne la vettura personale di Battista “Pinin” Farina.

    Superfast II
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    In seguito fu sottoposta ad una serie di sviluppi che ne cambiarono leggermente la forma. Si guadagnò il nome di “coupè aerodinamica” grazie alle sue linee lunghe, flessuose, basse e fluenti che si estendevano fino all’abitacolo, dove i montanti del parabrezza erano inclinati sia verso il tettuccio sia verso la parte posteriore. La linea inclinata del lunotto proseguiva verso il baule e la coda terminando a livello dei paraurti, dove le luci posteriori circolari erano alloggiate in una cornice protettiva che formava parte dei due semi paraurti avvolgenti. La vettura primigenia aveva i gruppi ottici anteriori a scomparsa e una presa d’aria ovale per il radiatore, poco profonda, affiancata ai semi paraurti avvolgenti con rostri che proseguivano verso la parte inferiore del musetto.
    Nell’inverno 1960-61 la vettura ricevette un’ampia presa d’aria sul cofano anteriore, circondata da una rifinitura cromata in quel periodo molto di moda. Le piccole luci di posizione anteriori furono incassate in cima ai parafanghi, scomparve la copertura aerodinamica delle ruote posteriori e sulle superfici vetrate furono adottati i deflettori.

    Superfast III 1960/61
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    La seconda modifica totale nel design sul medesimo telaio fu battezzata Superfast III, e calcò per la prima volta le scene al Salone di Ginevra del marzo 1962. La vettura aveva subito variazioni alle superfici vetrate, con montanti posteriori più sottili e, di conseguenza, i relativi finestrini erano diventati più ampi. Il profilo del musetto fu variato con lo scopo di inserire una nuova presa d’aria ellittica per il radiatore, ancor meno profonda, dotata di un pannello di copertura in metallo controllato da un termostato e adornato da un “Cavallino Rampante”. Altre differenze rilevanti furono un cambio di colore da bianco a verde metallizzato (nell’interim fu anche grigio metallizzato), la reintroduzione delle coperture aerodinamiche sulle ruote traenti e dei nuovi sfoghi per l’aria, che furono aggiunti nella parte inferiore del pannello laterale dietro i parafanghi posteriori.

    Superfast III
    UITz7R
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    Questa vettura fu poi sottoposta ad un altra metamorfosi che la fece diventare Superfast IV: la differenza più evidente tra i due modelli si rileva nel diverso disegno dei gruppi ottici anteriori, dove i proiettori a scomparsa furono sostituiti da una coppia di fari scoperti aventi diametro diverso (circa 18 cm per quello esterno e circa 13 cm per il faro interno), soluzione che fu poi ripresa nel 1964 sulla 330 GT. Un’altra differenza più difficile da rilevare fu un leggero cambiamento nella forma del montante posteriore, unita all’innalzamento della base inferiore del lunotto.

    Superfast IV
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    Nel frattempo era iniziata la produzione in serie del modello, e la prima versione realizzata per la clientela “normale” fu esposta al Salone di Ginevra del 1961. La macchina aveva quasi tutte le caratteristiche estetiche della Superfast II, tranne i gruppi ottici anteriori realizzati con elementi più tradizionali, leggermente incassati nella carrozzeria e protetti da una copertura in Plexiglass.

    Ferrari 400 Superamerica cabrio
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    Come già detto, ci furono differenze individuali su alcune specifiche vetture, e oltre alla già menzionata scelta concernente i gruppi ottici anteriori aperti o chiusi, c’era la possibilità di far installare due tipi diversi di apertura delle portiere: uno con la tradizionale maniglia cromata munita di bottone a pressione, l’altro con la leva d’apertura a scomparsa. Inoltre, su alcune vetture furono applicate le coperture aerodinamiche sulle ruote posteriori, mentre in altre non furono presenti. Gli esemplari costruiti fino alla metà del 1962 ebbero il telaio da 2420mm di passo, dopo tale data, invece, furono utilizzati telai con un passo di 2600mm. Queste ultime vetture si possono identificare dal maggior spazio presente tra la battuta dello sportello e l’inizio del parafango posteriore. Un altro particolare che risulta piuttosto evidente è il rigonfiamento longitudinale situato nella parte centrale del cofano motore, sopra i carburatori, al posto della presa d’aria con finitura cromata presente sui modelli precedenti. La produzione totale ammonta ad una Scaglietti Spider, una Scaglietti Berlinetta, nove cabriolet e 35 coupè. I numeri di telaio vanno da 1517 SA a 5139 SA. Va notato che le due GTO da quattro litri con telaio n. 3765 – 4561 e le quattro 330 LM berlinetta, con chassis n. 4381 – 4453 – 4619 – 4725, ebbero tutte la numerazione dei telai con il suffisso “SA”, tipico di della serie 400 Superamerica.
  11. .
    La Simca 1307 è stata la prima vettura, a introdurre il doppio marchio Simca-Chrisler, e come logo lo stemma pentagonale.
    Presentata al Salone di Parigi a ottobre del 1975, la vettura era moderna, con una coda spiovente e portellone. Sul mercato Inglese fu venduta come Chrysler Alpine, a parte un marchio differente, le due vetture erano identiche.
    Il progetto della nuova vettura si deve far risalire al 1969, quando l’azionista di maggioranza, la Chrysler, stava cercando di sostituire i modelli 1301 e 1501, mezzi ormai datati e che erano degli aggiornamenti importanti dellla Simca 1300 e 1500 risalenti addirittura al 1963. Il progetto prese il nome di B-Car, le specifiche prevedevano una cilindrata compresa tra i 1500 e i 1800 cc, ciò impose un nuovo cambio in grado di reggere la maggiore coppia, inoltre i motori dovevano essere più moderni delle unità precedenti, con distribuzione ad asse a camme in testa, ciò rese impossibile utilizzare le vecchie unità che erano ancora dotati di asse a camme laterale.
    I veri disegni che si susseguirono erano ancora basati su vetture dalla linea classica a 3 volumi, ma tra i vari prospetti ne arrivò uno che riprendeva una linea a cuneo due volumi e portellone, il disegno piacque ai dirigenti Chrysler che ne chiesero lo sviluppo e la creazione di una maquette scala 1 a 1. Il motivo di questa scelta si deve anche al grande successo di vetture come la Renault 16, l’Autobianchi Primula e la stessa Simca 1100, ora la vettura viene vista anche nella sua praticità, non più solo come mezzo di trasporto.
    Il progetto vide comunque un arresto nel 1970, quando la Chrysler divenne proprietaria del marchio.
    Si decise quindi di ricominciare da zero, e si passo così al nuovo progetto identificato come C6 o A-Car, in questo caso la vettura doveva essere meno ricercata, più semplice. Una vettura che si doveva porre un gradino più in alto rispetto alla Simca 1100, avere una buona abitabilità, un pavimento piatto e sbalzi ridotti, si scelse quindi di introdurre il motore in posizione trasversale e la trazione anteriore, che permetteva così la possibilità di avere un pavimento piatto mancando il tunnel di trasmissione.
    Il disegno fu affidato al centro stile Inglese di Whitley, l’equipe guidata da Roy Axe, che scelsero di fare una vettura moderna d’avanguardia, non seguendo quindi gli stilemi finora proposti dalla Simca.
    Nel 1973 il nuovo progetto è pronto, tre sono gli schizzi che sono ricreati in scala 1 a 1. Il 21 maggio 1973 venne finalmente congelata la linea definitiva. Analogamente allo stile esterno, furono condotti gli studi per lo stile dell'abitacolo.

    Prototipi C6
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    Roy Axe e la sua equipe
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    Per quanto riguarda il lato tecnico, le nuove direttive della Chrysler, relative al progetto C6, imposero la rinuncia a nuovi motori monoalbero in testa, a favore invece di unità motrici tradizionali, derivate da quelle utilizzate sulla 1100. A tale scopo, dall'unità 366 da 1.3 litri che già ebbe modo di equipaggiare alcuni modelli della 1100, venne derivato un nuovo motore da 1442 cc, più idoneo alla classe superiore della vettura. Non fu necessario, invece, riprogettare un nuovo cambio, come fu ipotizzato all'inizio, poiché quello della 1100 fu giudicato idoneo anche alla nuova vettura e al nuovo motore. Anche per quanto riguarda l'avantreno, ci si rifece in gran parte alle soluzioni viste sulla 1100: fu confermata quindi la soluzione a quadrilateri, mentre per il retrotreno fu montato un nuovo schema a bracci oscillanti.

    Spaccato della vettura
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    La messa a punto definitiva di carrozzeria ed organi meccanici fu attuata al Centro di Carrières-sous-Poissy, dove vennero assemblati anche i primi prototipi. I primi test della meccanica furono invece condotti presso la pista di Mortefontaine, a nord di Parigi: i tredici prototipi realizzati prima del lancio effettuarono ben 550 000 km di percorso lungo il tracciato di Mortefontaine tra il 28 giugno 1974 e l'11 febbraio dell'anno seguente. Parte di questo exploit venne condotto anche in Lapponia e proprio nei mesi di gennaio e febbraio del 1975, in modo da testare gli organi meccanici anche a temperature di 40 gradi sotto zero. Analogamente, nei mesi estivi, svariati test furono condotti anche in Marocco, in maniera tale da valutare la resistenza della vettura in condizione climatiche diametralmente opposte ed in particolare di riscontrare eventuali fenomeni di surriscaldamento.
    Tre preserie per un totale di 355 esemplari furono riunite nella primavera del 1975 per i collaudi finali.
    Il 5 luglio del 1975 la Chrysler ufficializzò il lancio del nuovo modello, mentre il 1 settembre ed il 4 ottobre dello stesso anno la vettura, ormai definitiva viene presentata alla stampa specializzata, francese ed internazionale che poté provare la vettura su un percorso pianificato, compreso tra Carrières-sous-Poissy e Deauville, un percorso che comprendeva la guida in città e su lunghi percorsi autostradali per saggiare al meglio le doti della vettura. Il giudizio fu positivo, la vettura piacque per confort, dotazione, praticità e abitabilità. Il comportamento stradale, poi, era molto sicuro e la velocità di punta delle varie versioni traeva vantaggio dalla buona efficienza aerodinamica della carrozzeria.
    Il 27 ottobre del 1975 viene presentata al Salone di Parigi dove per la prima volta il pubblico poté vedere da vicino la nuova Simca 1307 e la sua versione più ricca, la 1308. Anche le impressioni del pubblico furono più che positive, tanto che alla fine della kermesse parigina, vi furono diversi ordini.
    Arrivata ultima tra le vetture a due volumi con portellone, la Simca aveva comunque con una linea moderna, soprattutto se paragonate alle Simca 1301 e 1501 che andava a sostituire. Il frontale era forse la parte meno originale, ma riusciva comunque ad apparire più moderno soprattutto grazie ai due grandi fari rettangolari che garantivano un grande fascio luminoso. Sulla calandra capeggiava il logo e la scritta Chrysler. La vista laterale mostrava una linea a cuneo, mentre la fiancata era caratterizzata da una scalfatura che ne allegeriva la linea. La coda tronca presenta fari rettangolari dallo sviluppo orizzontale di tipo striato, che ricordavano le più blasonate Mercedes dell’epoca, sempre in coda era presente ancora il marchio Simca.
    Internamente la vettura si presentava con un ampio abitacolo, la cui spaziosità era ai vertici della sua categoria. Ben progettato anche il posto, guida, comodo come peraltro anche gli altri sedili: qui si trovava una plancia dal disegno razionale e intuitivo nella disposizione dei comandi. La consolle centrale incorporava alcuni comandi secondari, mentre la maggior parte di essi si trovava raggruppata nelle due leve a destra e a sinistra del piantone dello sterzo. Il cruscotto era a sei strumenti (tranne che nella versione di base, che ne possedeva solo due): tachimetro, contagiri, termometro acqua, orologio, manometro olio ed indicatore livello carburante. Le ampie superfici vetrate garantivano una visibilità buona e una soddisfacente luminosità all'interno dell'abitacolo. La stampa definì più che buono anche il grado di finitura, nonostante alcuni particolari migliorabili, ma anche di livello marginale. Buona anche la capacità del bagagliaio: 300 litri in configurazione a 5 posti potevano essere aumentati a 473 rimuovendo la cappelliera e rinunciando al divano posteriore si poteva salire persino a 1400.
    I motori, che come già accennato erano di derivazione Simca 1100, avevano un sistema meccanico classico, motore anteriore trasversale abbinato a trazione anteriore e cambio in blocco con il motore, sospensioni a ruote indipendenti e impianto frenante misto. L'avantreno a bracci triangolari oscillanti trasversali con barre di torsione longitudinali era ripreso da quello della "sorella minore", mentre nuovo era il retrotreno a triangoli oscillanti con molle elicoidali ed ammortizzatori idraulici separati. Come già anticipato, l'impianto frenante, del tipo a doppio circuito frenante, prevedeva dischi all'avantreno e tamburi al retrotreno, mentre lo sterzo era a cremagliera, con piantone spezzato in due punti ed articolato mediante giunti cardanici elastici.
    La produzione fu avviata nello stabilimento di Poissy: i grandi consensi suscitati dalla vettura furono tali da far allungare in breve tempo le liste di attesa, nonostante i vertici Chrysler si fossero già organizzati in tal senso. La marea di lusinghe ricevute dalla Simca1307/1308 sfociò nella sua elezione come Auto dell'anno nel 1976.

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    Fabbrica di Poissy
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    Al debutto la vettura era disponibile in:

    Simca 1307 GLS
    Dotata di motore da 1294 cc abbinato ad un carburatore monocorpo e potenza massima di 68 cv a 5600 giri/min. E’ la versione di base ma che risulta già soddisfacente, poiché la sua dotazione comprendeva il pavimento rivestito in moquette, i sedili reclinabili, il lavavetro elettrico, i fari posteriori con fendinebbia e luci di retromarcia integrate.

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    Simca 1307 S
    E’ la versione intermedia, dotata di un motore sempre di 1294 cc, ma in questo caso come per la Matra Baghera, abbiamo due carburatori doppio corpo che portano la potenza massima a 82 cv a 6000 giri/min.
    Questa versione intermedia aggiungeva in più il cruscotto a sei strumenti anziché due, una console centrale più massiccia e sviluppata che integrava meglio le bocchette di aerazione ed i fari anteriori a iodio H4.

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    Simca 1308 GT
    E’ la versione di punta, monta il nuovo motore 6Y2 con cilindrata di 1442 cc e potenza massima di 85 CV a 5600 giri/min.
    Nella dotazione oltre a quanto già visto nelle versioni precedenti, troviamo i poggiatesta anteriori, i fari allo iodio con lavafari, il tergilunotto e i vetri atermici.

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    Nel luglio del 1977 la produzione viene iniziata anche presso lo stabilimento Spagnolo di Chrysler locale (già stabilimento Barreiros Diesel). Parte della produzione di Poissy fu invece inviata smontata nello stabilimento Chrysler inglese di Ryton e nello stabilimento SOMACA di Casablanca (un altro stabilimento ex-Simca passato in seguito sotto il controllo Chrysler), dove le vetture vennero assemblate in loco per i rispettivi mercati interni. La maggior parte degli aggiornamenti avutisi nella seconda metà del 1977 era concentrata nell'abitacolo, che divenne maggiormente insonorizzato. Il cruscotto vide l'arrivo delle spie dello starter e dell'usura delle pastiglie freno e nella GLS la dotazione fu arricchita con l'orologio fino a quel momento previsto nelle altre due versioni.
    Con l’introduzione dell’erede della Horizon, che andava a sostituire la ormai anziana Simca 1100, la Chrysler 1307/1308 si arricchì di due nuovi allestimenti.

    Simca 1308 S
    In pratica una 1307 S ma con il motore più potente della versione GT.

    Simca 1308 Super Luxe
    Mantiene il motore della versione GT, ma è caratterizzata da una dotazione più ricca e comprendente l'autoradio a cassette, i cerchi in lega, la chiusura centralizzata, la vernice metallizzata ed i poggiatesta regolabili sui sedili anteriori.

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    Sempre nel 1978, una nuova legge in Francia stabilì il calcolo della potenza fiscale di un'auto non solo in base alla cilindrata, ma anche in base al consumo e in base alla rapportatura del cambio. Per questo, motivo, la 1308 S nei suoi tre allestimenti ricevette un nuovo cambio con diversa rapportatura della quarta marcia e beneficiò dell'inclusione nella fascia dei 7 cavalli fiscali. In pratica, la 1307 S, fino a quel momento equipaggiata con il 1.3 3G4), ricevette il 1.4 fino a quel momento montato sulle varie 1308.
    Rimanendo nel 1978, va osservato un fatto assai importante: se la gamma della "media" Chrysler-Simca riscosse successo, lo stesso non si poté dire della Chrysler in generale, da tempo ormai in perdita, anche e soprattutto a causa della crisi petrolifera del 1973. Perciò, il colosso statunitense decise di disfarsi della sua sezione europea e trovò l'acquirente nel Gruppo PSA, all'epoca una giovanissima realtà che mirava a costituire una solida holding. L'accordo fu raggiunto il 10 agosto del 1978: il Gruppo PSA, fino a quel momento formato da Peugeot e Citroën, divenne detentore di tutti i marchi assorbiti fino a quel momento dalla Chrysler Europe, e tra questi anche marchi come Talbot e Simca. Sempre nell'estate del 1978, la gamma si arricchì con l'arrivo della 1309 SX.

    Simca 1309 SX
    Spinta dall’unità 6J2 da 1592 cm³, in grado di erogare fino ad 88 CV di potenza massima. La dotazione, per l'epoca è assai ricca, di questa versione comprendeva il servosterzo, il tergilavalunotto ed il regolatore di velocità, ma soprattutto un inedito cambio automatico a 3 rapporti, oltre alla dotazione di tutte le altre versioni di livello inferiore.

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    Con l’acquisizione della Chrysler Europe da parte del gruppo PSA, tutte le vetture vennero rimarchiate con il marchio Talbot, creando il nome Talbot-Simca.
    Questa rivoluzione si ripercosse nel medesimo modo anche sulla gamma 1307/1308/1309, che venne ribattezzata 1510 indipendentemente dalle motorizzazioni. Contemporaneamente la vettura fu oggetto di un restyling, che interessò il frontale (ridisegnato), i paraurti, i gruppi ottici posteriori, gli interni (ridisegnati) e la strumentazione. La vettura fu resa più moderna ed aerodinamica (il Cx passò da 0.41 a 0.39). Nonostante le modifiche estetiche, a livello tecnico non si registrarono novità di rilievo. La gamma era composta dalle varianti:

    1510 LS con motore d1 1294 cm³ da 68 CV e cambio a 4 marce
    1510 GL e 1510 GLS, con motore di 1442 cm³ da 85 CV e cambio a 4 marce
    1510 SX, con motore di 1592 cm³ da 90 CV e cambio a 5 marce o, a richiesta, automatico a 3 rapporti.

    Le vetture però, anche se migliorate ulteriormente negli allestimenti interni, cominciarono ad accusare il peso degli anni, anche se il gruppo PSA diede una garanzia estesa a 6 anni contro la corrosione passante della carrozzeria, vero punto debole della gamma durante il periodo Chrysler.
    Nel 1980 viene a scomparire il marchio Simca, le vettura da questo momento saranno vendute solo come Talbot. Sempre nel 1980 è affiancata alla berlina la versione a tre volumi, ribattezzata Talbot Solara.
    Ancora nel 1980 abbiamo una versione speciale chiamata Talbot 1510 Exclusive, una serie speciale limitata a 1000 esemplari spinta dal 1.6 da 88 CV, ma accoppiato ad un inedito cambio manuale a 5 marce.
    Nel 1981 la versione 1510 LS è abbinata a un motore 1.4 con una potenza di 70 cv. Mentre la versione GLS riceve il motore 1600 della SX con 90 cv., sia la versione SX che la versione GLS ora sono equipaggiate di un cambio a 5 marce, il cambio automatico, di serie per la versione SX diventa optional.

    Talbot 1510 LS
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    Talbot 1510 SX
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    Talbot 1510 Exclusive
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    La Talbot 1510 uscirà di produzione nel 1982 dal mercato Francese, anche se continuerà ad essere prodotta in altri stati come quello Spagnolo per circa altri 10 anni.
    La sua linea ispirò anche la Russia che presentò il modello Moskvitch Aleko.


    Moskvitch Aleko
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    La gamma 1307/1308/1309 fu prodotta anche in diversi altri Paesi e con altre denominazioni:
    Regno Unito: in Inghilterra, come già accennato all'inizio, fu prodotta come Chrysler Alpine per il mercato dell'intero Regno Unito. La vettura fu presentata al Salone di Londra nell'ottobre 1975 in due versioni: la Alpine GL, corrispondente alla 1307 GLS, e la Alpine S, che unì l'allestimento della 1307 S al motore della 1308 GT. La produzione fu avviata nel gennaio 1976 nello stabilimento Chrysler di Ryton, ossia l'ex-stabilimento del Gruppo Rootes, da alcuni anni sotto il pieno controllo del colosso statunitense. Qui le vetture giungevano smontate dalla Francia per essere poi assemblate in loco. Nel 1980, in seguito all'assorbimento della Chrysler Europe da parte del Gruppo PSA, la gamma cambiò denominazione in Talbot Alpine. Da qui, la produzione proseguì ancora per oltre cinque anni, ben oltre la produzione nella maggior parte d'Europa, dove la gamma cessò di essere assemblata a partire dal giugno 1982. Tra l'ottobre del 1984 ed il giugno del 1985, ultimi mesi di produzione per la Alpine, i vertici PSA decisero di rispolverare due nomi appartenuti alla storia del Gruppo Rootes, ossia Minx e Rapier. Fu così che per quell'ultima fase di produzione fu cancellato il nome Alpine in favore dei due nomi, utilizzati indifferentemente anche per la Solara, e che andarono ad indicare due livelli di allestimento ben distinti. In sostanza la produzione fu articolata nei modelli Talbot Rapier e Talbot Minx, entrambi disponibili a 4 e a 5 porte, e i quali beneficiarono di un leggero restyling visibile specialmente nella nuova calandra ridisegnata.


    Spagna: in Spagna, la produzione fu avviata nell'ex-stabilimento Barreiros Diesel di Villaverde, un sobborgo di Madrid. L'impianto dal 1969 divenne totalmente di proprietà della Chrysler e per questo ribattezzato Chrysler España. Qui la gamma della "media" francese debuttò nel 1977 con il nome di Chrysler 150 ed in quattro versioni: GLS, GLS Confort, S e GT. Mentre le due versioni GLS montavano il 1.3 da 68 CV, le altre due erano equipaggiate con il 1.4 da 85 CV. In seguito si aggiunse alla gamma la 150 SX, corrispondente alla 1309 SX. Sotto la gestione PSA, la gamma fu riproposta come Talbot 150, ma a differenza della gamma prevista per il resto d'Europa non vi fu il leggero restyling, che venne rinviato al giugno 1980. La produzione cessò alla fine del 1984.


    Marocco: la gamma della 1307 e delle sue derivate fu prodotta anche in Marocco, presso lo stabilimento So.Ma.C.A. di Casablanca, un impianto prodotto il 4 luglio 1959 e che gravitava nell'orbita della Simca. Anche questo stabilimento finì quindi sotto il controllo della Chrysler, che nel 1976 vi avviò la produzione della 1307 e della 1308. Anche qui, come in Inghilterra, le vetture giungevano smontate per essere poi assemblate in territorio marocchino. La gamma fu composta dai modelli 1307 GLS e 1308 GT, prodotti con marchio Simca, come nell'Europa continentale (tranne la Spagna). La gamma fu ridenominata come Talbot 1510 a partire dalla metà del 1980 e la produzione terminò all'inizio del 1985. Nei primi giorni di quell'anno furono assemblati gli ultimi cinque esemplari.


    Finlandia: la produzione della vettura fu portata anche nello stabilimento Saab-Valmet di Uusikaupunki, nel sud della Finlandia, a seguito di un accordo di produzione tra la stessa Saab-Valmet e la Chrysler, oramai sotto il controllo del Gruppo PSA. Anche qui, come in Marocco, le vetture giungevano smontate in terra scandinava per poi essere assemblate dalla Saab-Valmet. Le denominazioni commerciali erano differenti solo in parte rispetto a quelle adottate nel resto d'Europa: la versione di base continuò a chiamarsi 1307, mentre la versione di punta prese il nome inedito di 1508 e commercializzata con il marchio Chrysler-Simca. In realtà, inizialmente, si pensò di utilizzare il nome di 1508 anche in Europa, quando ilmodello debuttò nel 1975, ma poi la scelta cadde sulla sigla 1308. Poco tempo dopo l'avvio della produzione, la gamma si arricchì con l'arrivo della 1609 SX, corrispondente alla 1309 SX prevista negli altri Paesi europei. Anche nel caso della produzione finlandese, nel 1980 vi fu il passaggio alla denominazioneTalbot 1510. La produzione in Finlandia, che distribuì i vari modelli anche nel mercato svedese, terminò alla fine del 1985. Nell'ultimo anno di produzione, dallo stabilimento di Uusikaupunki venne partorità una versione specifica solo per i due mercati scandinavi e mai vista in nessun altro Paese: la 1510 Diesel, equipaggiata con il motore XUD9 da 1905 cm³ e da 65 CV di potenza massima.

    Colombia: la 1307 e la 1308 furono prodotte a partire dal 1977 anche dalla Chrysler Colmotores di Bogotà, in Colombia, dove le vetture giunsero smontate dallo stabilimento spagnolo di Villaverde. A Bogotà la vettura fu prodotta come Dodge Alpine. Va ricordato infatti che già all'epoca il marchio Dodge era da parecchio tempo di proprietà della Chrysler. Ne furono prodotti circa 20 000 esemplari fino al 1981.

    Nuova Zelanda: la produzione fu portata parsino all'altro capo del mondo, e precisamente allo stabilimento della Todd Corporation di Wellington, in Nuova Zelanda. Tale impianto, che una volta assemblava modelli del Gruppo Rootes, finì anch'esso sotto il controllo della Chrysler, che perciò vi fece produrre le 1307 e 1308 locali, anche in questo caso, come in Inghilterra, con il nome di Chrysler Alpine. La produzione, avviata nel 1977, si protrasse fino al 1983.
  12. .
    Grazie
  13. .
    in questo articolo ripreso da Ruote Classiche di Luglio 2015, si parla di un primato interessante, il viaggio più lungo mai effettuato da un uomo e dalla sua vettura, soprannominata Otto. Ghunther Holtorf, un simpatico settantasettenne, ci racconta la sua storia e le sue avventure a bordo della stessa Mercedes classe G per un viaggio di 897 mila km.

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  14. .
  15. .
    Si è una vettura che è rimasta all'interno dei confini Gaipponesi
1684 replies since 31/7/2012
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